La sfrappola ha molti nomi, ma resta il dolce per eccellenza del Carnevale, con la sua allegria e bontà
Le origini della Sfrappola si perdono nella notte dei tempi. C’è chi la fa risalire agli antichi Romani, quando in occasione delle feste dei Saturnalia, tra le ultime cancellate dal calendario cristiano, si mangiavano dolci che ne potrebbero essere i progenitori.
La loro esistenza è già pienamente documentata dalla seconda metà del Cinquecento e da allora ogni storico della cucina italiana le ha citate nelle proprie raccolte.
Anche il nome cambia dalle zone in cui si degustano, con un etimo molto diverso che di volta in volta viene ricondotto al latino, al francese, allo spagnolo, appellandole come chiacchiere, crostoli, bugie, cenci, frappe, galani, gasse, maraviglias, stracci.
Tanti i nomi e tante le origini, ma una certezza che mette tutti d’accordo c’è: la bontà di questo dolce carnevalesco che per le sue stesse caratteristiche è fonte di allegria.
Non solo perché si gusta durante il Carnevale, ma per la sua stessa dolcezza e friabilità, per cui ogni assaggio è un gioco di equilibrismo tra il vedersela frangere in mano o ricoprirsi inevitabilmente di zucchero a velo.
La sfoglia fritta deve infatti essere molto sottile, delicata, poco unta e imbiancata dallo zucchero vanigliato. Una tradizione che si è mantenuta nei secoli, pur con qualche variante che vede oggi la sostituzione dello strutto con l’olio, per alleggerire l’apporto calorico, offrire un gusto più appetibile e aumentarne la digeribilità.
Le Sfrappole sono una delle tipicità bolognesi che trova tra le sue massime espressioni quelle realizzate nel territorio montano e collinare di Bologna e provincia. Non mancano le sagre e le feste in cui condividerle in pubblico, ma sono anche le protagoniste dei negozi di fornai che allietano i propri banchi con l’oggetto del desiderio di grandi e piccoli, perché la sfrappola piace proprio a tutti, senza distinzione di genere ed età.
C’è chi ne ha fatto un vanto di famiglia, come Mattia, il titolare del Panificio Salomoni di Monghidoro che ancora oggi custodisce gelosamente il segreto della ricetta della nonna, passata di madre in figlia. Solo quando decise di dedicarsi all’arte bianca gli fu concessa la conoscenza di questa delizia. Pur esistendo una ricetta comune, ogni massaia metteva qualcosa di speciale, quel tocco personale che rendeva ben riconoscibili le proprie sfrappole. Una sorta di firma d’autore per cui è possibile affermare che si parla delle sfrappole made in Panificio Salomoni. La firma autoriale di Mattia si riconosce da quel gusto agrumato che nasce dalla spremuta di arance fresche unita all’impasto realizzato con farina selezionata e finemente setacciata. Altro elemento distintivo è la sfoglia, così sottile da permettere di vedere attraverso, pronta per essere cullata in un lago di olio di semi di girasole.
Per essere così speciali, dorate e profumate, la frittura avviene in olio rigorosamente nuovo, cambiato ogni 5kg di pasta fritta, perché solo così se ne mantiene la massima friabilità, leggerezza e aromaticità.
Altro segreto è lo zucchero a velo vanigliato, delicato e dal profumo inconfondibile, spolverato una volta che l’impasto è perfettamente asciutto. Una imbiancatura che deve essere delicata, senza esagerare, per consentire di cogliere tutto il gusto della sfoglia e rendere eccessivamente dolce l’assaggio. Per riuscire Mattia utilizza solo ingredienti del territorio perché al Panificio Salomoni si continua a produrre come una volta e anche lo zucchero è di un comune vicino a Monghidoro, perché tutto sia bolognese doc.
Per scoprire il tocco magico che permette alla sfoglia di non rompersi occorre assaltare il castello, come viene scherzosamente chiamata la confezione realizzata appositamente per preservare e trasportare le sfrappole made in Panificio Salomoni, acquistabili a Monghidoro o direttamente a casa propria, con consegna a domicilio. Con gesti sapienti, ogni sfrappola viene infatti adagiata in modo da arrivare nelle mani del cliente così come appena realizzata, oggi come una volta.