Tra vip e serial killer

A Monghidoro tra illustri personaggi e storie macabre, i racconti leggendari tengono banco al Panificio Salomoni

Aneddoti, dicerie, antiche storie e leggende metropolitane circolano un po’ dovunque sull’appennino bolognese e non è raro che al Panificio Salomoni qualche curioso o turista chieda informazioni. In effetti, tra pasta fresca o pasta ripiena, biscotteria secca e da forno, pizza, tortellini, tagliatelle, lasagne, cannelloni, tortelloni, zuccherotti montanari, raviole, spumini e biscotti di vario tipo e farcitura, pane casereccio e montanaro, panini, crescente bolognese, peschine e qualsiasi altra delizia, custodire la tradizione significa anche tramandarla.

Del resto, per chi come Mattia essere di Monghidoro è un orgoglio, lo è altrettanto raccontare come da queste parti non solo abbia avuto i natali un mito della canzone italiana come Gianni Morandi, ma che come siano passati tra lungo la Stada Statale della Futa o tra i boschi dell’Alpe anche illustri scrittori come Stendhal e Goethe, piuttosto che teste coronate come  il Principe Ludovico di Anhalt, il Duca Carlo I di Borbone e Maria Teresa d’Austria, filosofi come Montaigne e libertini come Casanova che chissà se anche da queste parti ha fatto danni.

Certo è che la bella cittadina di Monghidoro, tra le montagne bolognesi, è un luogo in cui la storia è transitata più volte e con essa vip di ieri e di oggi, ma anche serial killer e personaggi avvolti dal più cupo mistero. Terra di confine già nel XIII secolo tra i due potenti comuni guelfi di Bologna e Firenze, il passaggio di merci e persone era quasi obbligato, snodandosi da quella che appena fuori da Porta Santo Stefano a Bologna saliva per quella che venne chiamata Via Toscana, passando per Pianoro Vecchia, Brento, Monzuno, Cedrecchia, Loiano e Monghidoro. Un traffico diretto al Passo della Futa per scendere poi a Firenzuola e Borgo San Lorenzo alla volta di Firenze. Se a Scaricalasino la dogana tra i due stati e le due giurisdizioni imponeva dazi e controlli, molto meno presidiati erano i fitti boschi dove si inerpicavano sentieri e mulattiere, percorse da mercanti e pellegrini. La vegetazione si è ormai riappropriata di un antico valico, il Passo dell’Osteria bruciata, molto battuto fino alla prima metà del XIV secolo e vera autostrada dell’epoca con il Giubileo del 1300 indetto dal papa Bonifacio VIII nell’anno 1300.

Ai tempi non era certo la voglia di trekking e nordic walking a far intraprendere certi cammini e non erano di sicuro allegre scampagnate, esposti alle intemperie e alle ruberie di briganti pronti a rapinare i malcapitati, senza farsi troppi scrupoli sul cancellare le tracce degli assalti facendo sparire i testimoni e non attirare così eventuali attenzioni da parte delle truppe stanziate lungo il percorso e nelle fortificazioni.

I viandanti erano soliti cercare un rifugio di fortuna, ma gli ostelli dell’epoca non erano poi così sicuri. Anzi, spesso attiravano gli stessi malfattori, per godere delle loro ruberie o per produrne altre con gli ospiti di questi ricoveri. E’ questa la storia che accompagna l’ “ospedaletto ruinato” citato in una carta del 1585, documentato come già distrutto. Pare proprio che si trattasse dell’ Osteria bruciata che a Monghidoro e al Panificio Salomoni conoscono bene e la cui cupa leggenda si tramanda di generazione in generazione, negli spaventosi racconti serali attorno al fuoco o per continuare a fantasticare nelle serate in compagnia. Del resto, non è da tutti avere una horror story in paese.

Altro che film splatter, di quelli in stile “Non aprite quella porta” o piuttosto “Hostel” da cui forse proprio a Monghidoro è stata presa ispirazione, perché nell’osteria cercare rifugio era un rischio quanto restare immersi nel buio della notte senza alcun riparo. Le uccisioni di chi vi trovava soggiorno per essere derubato spesso prevedevano anche l’occultamento del cadavere con macellazione del corpo, servito poi sotto forma di zuppa o pietanza agli altri clienti. Il girone infernale delle uccisioni durò per anni, finché non giunse un monaco che ricorda tanto Guglielmo da Baskerville interpretato da Sean Connery nella trasposizione cinematografica Il nome della rosa di Umberto Eco.

Rimasto perplesso dal piatto servitogli, chiese della carne da portare ai confratelli e dopo essere stata esaminata dal Vicariato di Sant’Agata del Mugello si convenne che si trattasse di carne umana.

Non è dato sapere se anche l’oste e la sua famiglia fossero cannibali, ma di certo uno dei figli era addetto alla macellazione e finì a sua volta infilzato dalle guardie che intervennero dopo la denuncia del satanico ritrovo, poi cosparso do sale e bruciato per scongiurare le malefiche presenze e i misfatti.

Una storia molto simile riguarda un’altra osteria nel cuore dell’Alpe di Monghidoro che già nel Medioevo era conosciuta, l’Osteria del Fantorno il cui oste aveva la stessa prassi nel procurarsi la carne la specialità della casa, lo spezzatino di carne umana. Pare venne arrestato dopo che un commensale abbia trovato un dito nella minestra e ne seguì l’arresto dell’oste con conseguente distruzione del punto ristoro. Ne restano le rovine all’ombra del verde dei boschi ma c’è chi giura che il fantasma del defunto proprietario giri ancora da queste parti per proteggere il tesoro nascosto, frutto delle rapine ai danni delle sue vittime.

Nel caso questi racconti facciano paura e si preferisca non salire a Monghidoro, nessun problema, perché il Panificio Salomoni arriva con le sue specialità anche nei comuni di Loiano, Monzuno, Monterenzio, Pianoro, San Benedetto Val di Sambro dove effettua consegne a domicilio.

 

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